Napoli-New York: La lettera d'amore di Salvatores
È uscito recentemente nelle sale italiane il film scritto e diretto da Gabriele Salvatores, tratto dal soggetto dimenticato di Federico Fellini: Napoli – New York. Con Pierfrancesco Favino, Antonio Guerra e Dea Lanzaro, Napoli-New York brilla di luce propria, dopo tanti anni passati al buio.
RECENSIONE
Marta Cervellino
11/21/20245 min read


Il film è ambientato nel 1949, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, ed inizia con un rombo assordate. Una palazzina è venuta giù. Tra le macerie, una bambina ne esce illesa. Il suo nome è Celestina (Dea Lanzaro), orfana di entrambi i genitori. Di lei se ne occupava una vecchia zia che, purtroppo, è rimasta uccisa dal crollo del palazzo. Adesso, è sola al mondo, l’unica parente ancora in vita è sua sorella Agnese che, però, è fuggita in America per sposarsi un militare conosciuto lì a Napoli. Decide quindi di raggiungere Carmine, un ragazzino più grande di lei, che vive alla giornata tra le strade di Napoli. Carmine (interpretato dal talentuoso Antonio Guerra), orfano anche lui, è molto premuroso con Celestina, e se ne prende cura come meglio può, insegnandole a vendere sigarette di contrabbando e rubando ciò che serve per sopravvivere.
Un giorno, però, succede qualcosa. Una nave americana, il Victory, è ormeggiata al largo del porto di Napoli. Da lì scendono i passeggeri, curiosi di vedere la città. Tra questi, un cuoco di nome George, che avvicina Carmine proponendogli dei piccoli lavoretti sottobanco, in cambio di denaro. Questa volta, gli propone la vendita di un cucciolo di giaguaro africano, con l’urgenza di farlo il prima possibile. Carmine accetta, ma a fine giornata i soldi non arrivano. Furioso per essere stato raggirato, Carmine decide di raggiungere la nave con una barchetta ormeggiata lì al porto, con Celestina al seguito. Raggiungono la nave, Carmine sale lasciando Celestina sulla barca, con le istruzioni di tenersi salda e la promessa di tornare subito. Rimasta sola, Celestina prende una decisione: non c’è niente lì per lei, per loro, a Napoli, mentre in America c’è Agnese, c’è una possibilità, c’è un futuro. Perché restare? Con il piede tremolante, allontana la barca e sale sulla nave.
Con Napoli che si allontana sempre di più, Celestina sente lo stomaco contorcersi, forse per la paura, forse per la fame, forse per ciò che ancora non conosce.
Dio benedica l’America
Questo film è una lettera d’amore. Dal dopoguerra in poi, il flusso di italiani (soprattutto meridionali) che hanno lasciato il paese senza mai più tornare è cresciuto a dismisura. La povertà che dilagava al Sud, zona ormai da tempo dimenticata dallo Stato, unita al sogno americano, hanno reso possibile una migrazione di questa portata. Chi partiva abbandonava tutto, si vendeva persino il letto per potersi permette un biglietto di sola andata per il paese delle grandi opportunità. Andare via, in un altro paese, con un’altra lingua e un’altra cultura (che poi l’America aveva dalla sua parte questo, ovvero essere un agglomerato di culture differenti) era una scelta difficile da prendere, spinta dalla promessa che una miseria come quella, lì, non esisteva.
Una scena estremamente toccato è stata l’arrivo della nave al porto di New York. L’altoparlante avverte che solo i passeggeri italiani possono scendere, gli altri avrebbero continuato la navigazione. Un fiume, un grande fiume di persone, scende dalla nave. Le facce sporche, stanche, mangiate dalla fame e dalla miseria; erano coperti di vestiti logori, rattoppati in più punti; alcuni erano giovani, altri invece anziani; altri avevano le valige chiuse con uno spago bello spesso, altri invece non possedevano niente. Come la puoi spiegare la speranza se non come un fiume di persone che non si reggono in piedi dopo un viaggio estenuante, che approdano in America con le poche cose che gli sono rimaste. Guardandola, si possono vedere i fantasmi di quelle persone che hanno davvero dovuto affrontare quel viaggio, ammassati nella zona povera della nave, cercando di allontanarsi il più possibile dalla fame, dalla miseria con un solo ed unico pensiero che gli permetteva di sopportare tutto quanto: in America non c’è fame, in America si sta bene.
Pizza, pasta e mandolino
Ed infatti è stato così: l’America all’epoca era davvero il paese delle opportunità, dove potevi farti da solo e non avere più paura. Lo dimostra la New York che si vede attraverso gli occhi di Carmine e Celestina, accesa di colori e piena di luce, ma anche con il personaggio di Pierfrancesco Favino, Domenico Garofalo, il capitano in seconda del Victory, che trova i ragazzi e, per un motivo o per un altro, li aiuta a scendere a New York nonostante siano senza documenti. Il personaggio di Domenico è l’italiano all’estero: è convinto che in America le cose funzionino perfettamente, che si possa avere una vita migliore se ci si impegna, se ci si integra; vanta un grande rispetto per l’ordine e la disciplina, unito a quello per gli uomini in divisa, che fanno solo il loro lavoro e lo fanno pure bene, però ricrea e applica i meccanismi sociali italiani. Domenico ha amici molto importanti al giornale (italiani), in banca (sempre italiani), alla polizia (di nuovo italiani), persone che gli devono favori e a cui lui ne deve altrettanti. L’italiano si è inserito perfettamente nell’ingranaggio americano, permettendo ai nuovi arrivati di inserirsi a loro volta. Un po’ italiano come metodo di sopravvivenza. Per questo, dopo i primi sbarchi, sono nati quartieri come Little Italy. Little Italy, citata nel film, viene rappresentato esattamente come un mondo a parte, tant’è che, quando Carmine ci casca (letteralmente) dentro, pensa di aver sognato. Da quando in America fa la processione per San Gennaro?
Ecco che puoi togliere un italiano dall’Italia, ma non l’Italia da un italiano. Tutto questo può essere confortante, ma anche un’arma a doppio taglio. Sebbene molti di loro si fossero integrati perfettamente (come il personaggio di Domenico) rimanendo comunque aggrappati saldamente alle proprie origini, gli italiani erano, insieme agli ebrei, agli afroamericani e tanti altri, oggetto di pregiudizio e discriminazione. Little Italy, così centrale eppure sconnessa, rappresentava un vero e proprio ghetto, dove gli italiani dovevano rinchiudersi perché “[…] sono dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano, non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro”. Questo è un estratto della Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso degli Stati Uniti d’America, un documento del 1912, citato anche nel film, dove viene descritto il modo in cui gli italiani venivano visti dagli americani (se volete approfondire vi lascio qui il link).
La lettera d’amore
Con che altre parole di può descrivere, questo film, se non come una lettera d’amore a chi è partito da parte di chi è rimasto? Celestina, Carmine, Domenico, non sono solo dei nomi, non sono solo dei personaggi; sono una parte della nostra storia, una storia che noi pensiamo ormai lontana, ma che di fatti è più attuale che mai. Celestina può essere una ragazza della Calabria che è costretta ad andare a studiare a Roma, perché al paese suo le università non sono buone; Carmine può essere un ragazzo della Sicilia che è riuscito a fuggire alla malavita, alla criminalità, che sogna una vita normale; Domenico può essere il mio bisnonno, nato in un piccolo paesino della Basilicata, o il bisnonno di qualcuno di voi, che per permettere ai figli di studiare ha dovuto cambiare proprio paese.
Napoli – New York è per loro, è per tutti loro. Una lettera d’amore.